Dopo una notte agitata con il mare alquanto mosso, salgo a fare colazione e poi attendo l’arrivo a Monemvasia sdraiata su un lettino al sun deck.
C’è parecchio vento ed è nuvoloso, poi esce il sole, ma non si vede l”orizzonte perché c’è foschia.
Alle 13.30 arriviamo a Monemvasia. Sbarchiamo con il tender.
Mi dicono che bisogna camminare per circa mezz’ora per raggiungere il vecchio villaggio. Sono già un po’ spaventata per tutta la strada da percorrere con la mia povera schiena che non ce la fa.
Cammino lungo la strada che costeggia il mare, sotto il sole che picchia e il forte vento che soffia.
Per fortuna il tempo della camminata si riduce a una quindicina di minuti.
Ora il paesaggio comincia già ad assomigliare alla Grecia, le case non sono bianche, ma color biscotto. Da una antica porta in pietra si accede alla vecchia città di Monemvasia. Stradine acciottolate che si arrampicano, oleandri, olivi, bouganville in un’esplosione di profumi e colori.
Il villaggio è a strapiombo sul mare e immagino che se uno volesse sparire e non farsi più trovare questo sarebbe il luogo ideale.
E penso a me e a Monamour e a cosa faremmo noi due li, lontano dal resto del mondo.
Passeggio tra le stradine da sola, in giro non c’è nessuno. Questo paesaggio mi ricorda molto il film Largo Winch. Arrivo in un grande spiazzo, c’è una casa con davanti due sedie da regista e un grande vaso di coccio, con un piano sopra, trasformato in tavolo, all’ombra di un grande ulivo. Decido di sedermi per un riposino e per chiamare Monamour, ma non c’è segnale. Se esce qualcuno dalla casa gli dirò che ero stanca e mi sono seduta un attimo a riposare. Invece non compare anima viva.
Ritorno sulla stradina principale del paese, piena di negozietti molto carini e mi fermo in un caffè con vista stupenda sui tetti e sul mare sottostante. Ordino una coca cola, e una alla volta, come se ci fossimo dati appuntamento, arrivano Roger, Carole, Olivia e sua mamma.
In un negozio mi compro una sciarpa di cotone tutta colorata e un regalino per Monamour: il suo segno zodiacale in argento dorato legato ad un cordoncino.
Dopodiché m’incammino sulla strada per tornare sulla banchina dove ci ha lasciati il tender e che fra poco ci verrà a riprendere per riportarci sullo Star Clipper.
La sera c’è la cena di gala con il comandante. Noto che parecchi dei passeggeri si sono messi più “eleganti”, insomma in base alla loro concezione di eleganza…
Dopo cena c’è il talent show, ma come direbbero gli inglesi, it’s not my cup of tea. Sembra invece divertire un sacco gli altri passeggeri. Alcuni membri dell’equipaggio si esibiscono in performance canore o ballerine. E alla fine le apprezzo tutte. Per esempio Alberto canta “New York New York” (secondo me è il più bravo), l’altro barteder canta “Katuscia”, alcuni indiani fanno un danza propiziatoria per la pesca, una filippina una sorta di ballo acrobatico, i quattro ragazzi svedesi mimano travestiti “Mamma mia” degli Abba e infine escono tutti e cantano Sailing di Rod Stewart, dondolandosi da destra e sinistra all’unisono. Poi chiamano tutti i passeggeri per una foto di gruppo e infine, sulle note della Macarena, tutti si scatenano nelle danze, perfino il comandante Peter e Nicola che non avrei immaginato… Anch’io ballo cercando di ricordarmi i movimenti e poi si continua sulle note musicali di Robert.
Stanca, me ne vado a letto, ho un po’ di malinconia. Kalinikta Agapimu!
continua…
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