Tutti almeno una volta hanno visitato il Vittoriale, ma farlo con una guida è un’altra cosa ed è un’esperienza unica.
Il Vittoriale degli Italiani è stata la residenza degli ultimi anni di vita di Gabriele d’Annunzio.
Un complesso di edifici, vie, piazze, un teatro all’aperto, giardini e corsi d’acqua eretto tra il 1921 e il 1938, costruito a Gardone Riviera sulle rive del lago di Garda da Gabriele d’Annunzio con l’aiuto dell’architetto Giancarlo Maroni, a memoria della “vita inimitabile” del poeta-soldato e delle imprese degli italiani durante la Prima Guerra Mondiale.
Il 1° febbraio 1921 d’Annunzio affitta per 600 lire mensili e per il termine di un anno la villa di Cargnacco (contrada di Gardone Riviera) appartenuta a Henry Thode, l’illustre studioso d’arte che in prime nozze aveva sposato Daniela Senta von Bülow, figlia di Cosima Liszt. La villa era stata sequestrata dal Governo italiano come risarcimento dei danni di guerra.
Il 31 ottobre 1921 la villa di Cargnacco, soprannominata la “Colonica” per il suo carattere rustico, viene acquistata da D’Annunzio per 130.000 lire, cifra che raddoppia con l’acquisto congiunto di tutto ciò che la villa contiene: la biblioteca di circa seimila volumi, il pianoforte Steinway appartenuto a Listz, ritratti di Lenbach, mobilio e cimeli, libri e fotografie d’arte, manoscritti di Wagner. Un mese dopo partono i lavori di ristrutturazione della villa curati dal giovane architetto Giancarlo Maroni. I primi interventi, precisa il committente, dovranno “stodeschizzarla”.
La casa è chiamata dal Poeta Prioria, ovvero casa del priore, secondo una simbologia conventuale che si ritrova in molte parti del Vittoriale, e già l’originalità si vede dopo aver salito i sette scalini dell’ingresso che conducono a due differenti anticamere: a destra l’entrata per gli ospiti non graditi e a sinistra per gli amici.
Noi iniziamo da destra ed entriamo nella Stanza del Mascheraio, chiamata così denominata dai versi sopra lo specchio del camino, composti in occasione della visita di Mussolini al Vittoriale nel maggio del 1925: Al visitatore / Teco porti lo specchio di Narciso? / Questo è piombato vetro, o mascheraio. / Aggiusta le tue maschere al tuo viso / ma pensa che sei vetro contro acciaio. Qui D’Annunzio fece attendere Benito Mussolini più di tre ore, un vero affronto per il Duce.
Si prosegue per la Stanza della Musica, una grande sala destinata ai concerti da camera. L’arredamento accosta tra loro oggetti déco e statuette orientali, colonne romane sormontate da zucche policrome luminose e cesti di frutti in vetro di Murano di Napoleone Martinuzzi, calchi in gesso di sculture greche, pelli di serpenti come quella di pitone fissata al soffitto. Il gusto eclettico di d’Annunzio che mescola oggetti di diversa provenienza ed epoca trova qui la sua prima e immediata manifestazione.
La Sala del Mappamondo è la biblioteca principale della casa. Qui sono collocati i circa seimila libri d’arte già appartenuti al critico d’arte tedesco Henri Thode sul totale dei 33.000 complessivi raccolti da d’Annunzio nel corso della sua esistenza. Il nome della stanza deriva dalla grande sfera geografica settecentesca che troneggia sopra un tavolo.
La Zambracca è l’anticamera della stanza da letto e del guardaroba, negli armadi e nei cassettoni ancora oggi vi è la biancheria del poeta, in questa stanza d’Annunzio sbrigava le ultime faccende della giornata e qui, seduto al tavolo, fu trovato morto la sera del 1º marzo 1938. Alle spalle della scrivania la farmacia del poeta.
La Stanza della Leda è la camera da letto del Poeta e prende il nome da un grande gesso posto sul caminetto raffigurante Leda amata da Giove trasformatosi in cigno. Sulla porta si legge il motto Genio et voluptati, al genio e al piacere, e dall’altro lato è appesa una piastrella proveniente dal Palazzo Ducale di Mantova con il motto Per un dixir, per un solo desiderio. Esplicito il significato di queste frasi.
La Veranda di Apollino è un piccolo ambiente aggiunto da Maroni alla struttura originaria della villa per schermare la luce diretta del sole nella stanza della Leda e fungeva da saletta di lettura suggestivamente affacciata sui giardini del Vittoriale digradanti verso il lago.
Il Bagno Blu è una vera innovazione per quel periodo, con sanitari dal colore blu del marchio Ideal Standard (già esisteva allora) ed è suddiviso alla francese con wc separato. All’interno sono collocati oltre 600 oggetti i cui toni dominanti sono il blu e il verde. Per la ristrutturazione Maroni si avvalse addirittura della consulenza di Gio Ponti.
La Stanza del Lebbroso chiamata anche Zambra del Misello o Cella dei Puri Sogni, fu concepita da d’Annunzio come luogo di meditazione ove ritirarsi negli anniversari fatidici della sua vita ed è dedicata a San Francesco anche se, alle pareti, vi sono pelli di daino, non proprio segno di povertà- Sul soffitto nei cassettoni dorati i simboli del martirio di Cristo inframmezzati da figure eteree di alcune sante. Su un podio rialzato la statua lignea di San Sebastiano di scuola marchigiana e il letto chiamato dal poeta delle due età perché simile ad una bara e al tempo stesso ad una culla. Nel quadro in fondo alla parete è raffigurato invece San Francesco nell’atto di abbracciare un lebbroso che altri non è che lo stesso d’Annunzio. Proprio in questa stanza, per la veglia privata, venne esposta la salma del Poeta nella notte fra l’1 e il 2 marzo 1938.
Il Corridoio della Via Crucis prende questo nome dalle formelle in rame smaltato che rappresentano le quattordici stazioni della Via crucis, opera di Giuseppe Guidi. Dalle finestre si possono vedere il Cortile degli Schiavoni, con lo stemma di Monte Nevoso e il Portico del Parente.
La Sala delle Reliquie è la stanza dove d’Annunzio raccoglie immagini e simboli delle diverse fedi. Ma reliquia, intesa come simbolo sacro, è anche il volante spezzato, significativamente collocato dinnanzi ad un tabernacolo, del motoscafo di sir Henry Seagrave, morto nel 1930 durante un tentativo di superare un record di velocità nelle acque del lago Windermere in Inghilterra. Per d’Annunzio quel volante rappresenta quella che lui definisce la “Religione del rischio”, il tentativo cioè dell’uomo di superare i vincoli impostigli dalla natura.
La Stanza del Giglio è uno studiolo contenente circa tremila volumi di storia e letteratura italiana decorato dal Marussig con pannelli raffiguranti steli di giglio. L’ambiente è caratterizzato da un piccolo armonium e da due nicchie-confessionali decorate da una preziosa raccolta di vasi da farmacia dei secoli XVI e XVII.
Si giunge all’Oratorio Dalmata, la sala d’aspetto riservata agli amici ammessi all’interno della Prioria, caratterizzata da stalli cinquecenteschi sui quali sono indicati i posti del priore, del vice priore, del cancelliere.
Lo Scrittorio del Monco è una saletta il cui nome deriva dalla scultura di una mano sinistra tagliata e scuoiata collocata sull’architrave della porta con il motto Recisa quiescit, tagliata riposa. Era la saletta adibita al disbrigo della corrispondenza: d’Annunzio, non potendo o non volendo rispondere a tutti, ironicamente si dichiarava monco e dunque impossibilitato a scrivere.
L’Officina è l’unica stanza della Prioria nella quale entra liberamente la luce naturale del giorno ed è l’unica arredata con mobili di rovere chiaro semplici e funzionali. Era lo studio di d’Annunzio, al quale si accede salendo tre alti scalini e passando sotto un basso architrave che costringe chi entra a chinarsi. Su una delle due scrivanie spicca il busto velato di Eleonora Duse. La grande attrice scomparsa nel 1924, fu per d’Annunzio compagna e musa ispiratrice; un foulard di seta ricopre il volto della donna, “testimone velata” del suo impegno ininterrotto di scrittore. Ad arredare la sala anche il busto della Nike di Samotracia. Qui d’Annunzio lavorava anche per sedici ore consecutive e qui, dopo aver ultimato il Notturno compose il Libro segreto, ultima sua opera.
La Sala della Cheli, ultimata nel 1929, l’unica sala non triste della casa come d’Annunzio ebbe modo di dire al Maroni. La stanza deriva il suo nome da una grande tartaruga in bronzo opera di Renato Brozzi, ricavata dal carapace di una vera tartaruga donata a d’Annunzio dalla Marchesa Luisa Casati, e morta nei giardini del Vittoriale per indigestione di tuberose: la sua presenza vale un monito contro l’ingordigia.
Accanto alla Priora c’è lo Schifamondo, l’edificio destinato a diventare la nuova residenza del Poeta, ma che non era ancora ultimato al momento della sua morte. Il nome, ispirato da un passo di Guittone d’Arezzo e dalla residenza rinascimentale di palazzo Schifanoia degli Estensi di Ferrara, manifesta il desiderio di isolamento del poeta. L’edificio venne concepito dall’architetto Giancarlo Maroni come l’interno di un transatlantico: finestre come oblò, vetrate alabastrine, ambienti rivestiti in boiserie di legno, corridoi alti e stretti e uno studio del tutto simile al ponte di comando di una nave, con decorazioni déco. Oggi ospita il Museo d’Annunzio Eroe. In quella che doveva diventare la sua nuova stanza da letto, venne esposto il corpo del poeta per la veglia pubblica nei giorni immediatamente successivi alla sua morte.
Schifamondo comprende anche l’auditorium con una platea per duecento persone, utilizzato anche per convegni e manifestazioni; alla cupola è appeso l’aereo Ansaldo S.V.A. del celebre volo su Vienna.
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