itinerari religiosi in Calabria
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Itinerari religiosi in Calabria

Non sono una “chiesaiola”, come definisco io, alla toscana, le persone che frequentano le chiese. Ma quando ho ricevuto l’invito a partecipare ad un educational in Calabria organizzato dalla “Aurea – Borsa del Turismo Religioso e delle Aree Protette”, dato che sono una viaggiatrice e una curiosa di natura, ho accettato subito.

Il benvenuto l’ho avuto con un aperitivo in spiaggia, a Gizzeria Lido presso lo stabilimento balneare Cool Bay, dove abbiamo ammirato il tramonto sorseggiando vino bianco e prelibatezze calabresi: tonnetti freschi, crostini caldi con formaggio e melanzane, con salsiccia e patate, e con salsiccia e parmigiano.

Il mio tour nella Calabria religiosa è iniziato ufficialmente il giorno dopo dal Santuario dedicato a San Francesco di Paola, fondatore dell’Ordine dei Minimi, ai piedi dell’appennino calabro. Qui si è svolta la presentazione di Aurea con un workshop che ha visto la partecipazione di buyer e di seller. Il grande complesso conventuale è immerso nel verde, e si sviluppa attorno alla prima cappella fondata dal Santo Patrono e sulle rive del torrente Isca. La nostra guida Simone Cambrea ci conduce attraverso la “zona dei miracoli”, in ricordo dei tanti miracoli compiuti dal Santo, dei quali rimango particolarmente colpita. A partire da quello della fornace dove vi entrò una volta per ripararla mentre ardeva a pieno ritmo, senza riportare alcuna scottatura. Un’altra volta richiamò in vita l’agnellino “Martinello”, che gli operai avevano divorato, gettandone le ossa tra le fiamme.

L’Acqua della Cucchiarella, che fu fatta sgorgare miracolosamente dal Santo per dissetare gli operai della fabbrica conventuale. In quest’acqua, dopo avervi gettato la lisca, il Santo fece ritornare in vita la trota “Antonella”, furtivamente asportata e divorata.
Quest’acqua, che viene attinta con la “cucchiarella”, mantiene sempre lo stesso livello. I francesi la fecero prosciugare nel 1806 per accertare la verità dell’affermazione e constatarono che essa poco dopo era ritornata al livello ordinario. Provo anche ad assaggiarla, male di certo non fa…

Dalla Fonte attraverso uno stretto viottolo, si arriva al “Ponte del Diavolo”. La leggenda vuole che sia stato costruito dal demonio per ordine dello stesso Santo: in compenso il diavolo chiese l’anima del primo viandante che lo avrebbe attraversato. San Francesco vi fece passare un cane. il diavolo irritato tirò un calcio al parapetto di sinistra (il buco si nota verso il centro del ponte), poggiando la mano sulla parete opposta e lasciandovi l’impronta.

Il tour prosegue a Fiumefreddo Bruzio, che dal 2005 fa parte dei Borghi più belli d’Italia, un paese di 3000 abitanti a 220 metri slm. In giro non c’è nessuno, sono tutti a far la siesta o al mare. Passeggiamo per il bel centro storico attraverso vicoli dove sembra di essere catalputati in un’altra epoca, tra palazzi cinquecenteschi, il Castello della Valle, la chiesa di S.Rocco con la cupola affrescata da Salvatore Fiume che si offrì di rivitalizzare il paese con altre sue opere e la Torretta, il belvedere da cui si gode una vista mozzafiato sul mare Tirreno fino alle isole Eolie.

Il giorno seguente si arriva a Pizzo Calabro, arroccata a picco sul mare, situata lungo la Costa degli Dei, e quando si vede il mare si capisce perché l’hanno chiamata così. Visitiamo la chiesa di S.Maria di Piedigrotta, scavata in una roccia di tufo, con l’acqua che stilla dalle pareti, e composta da una seriedi grotte che ospitano immagini sacre e scene bibliche. La leggenda narra che verso il 1665 un veliero napoletano in navigazione, in balia del mare tempestoso, fu schiantato contro le rocce. In quei momenti drammatici, il capitano espresse voto alla Madonna affinché salvasse la vita dell’ equipaggio. Il vascello si inabissò, ma gli ma gli uomini riuscirono a raggiungere la riva, lì dove oggi sorge la chiesa. Sul bagnasciuga, i marinai ritrovarono il quadro della Madonna che si trovava a bordo della nave. Decisi a mantenere la promessa fatta, scavarono nella roccia una piccola cappella e vi collocarono la sacra immagine. A Pizzo merita una visita anche il Castello, recentemente restaurato, eretto da Ferdinando d’Aragona nel 1486 e dove fu rinchiuso Gioacchino Murat, prima di essere fucilato.

Il pomeriggio visita a Tropea, la “perla del Tirreno”, costruita su una roccia a picco sul mare. La località turistica più famosa della Calabria, ha uno stupendo centro storico medievale, ma conserva anche numerosi resti di edifici di epoca romana epalazzi settecenteschi. Tra le chiese da visitare: la Cattedrale di origine normanna, più volte rimaneggiata in seguito ai vari terremoti. Poi la chiesa di S.Francesco, S.Maria della Neve, del Carmine, del Gesù, dell’Annunziata. Molto suggestivo è il Santuario di Santa Maria dell’Isola. Peperoncini appesi dappertutto con la scritta “viagra naturale”

Il terzo giorno, attraverso un suggestivo itinerario tra le montagne della Sila, si raggiunge S.Giovanni in Fiore, il più antico e vasto centro abitato della Sila, legato a Gioacchino da Fiore, l’abate ricordato da Dante nel paradiso, che qui fondò l’Abbazia Florense, concepita dallo stesso secondo i dettami derivati dalla sua filosofia e dalle sue originali ed interessanti intuizioni.

Arroccato su uno sperone di tufo che domina la vallata del fiume Neto, il borgo di Santa Severina visto dalla strada è bellissimo, non per niente è uno dei Borghi più belli d’Italia, con il suo castello normanno – bizantino, il battistero e la cattedrale.

E non si può venire in Calabria senza assaggiare il famoso tartufo gelato. Innanzitutto non ha niente a che vedere con il tartufo di una nota azienda che lo produce industrialmente, questo è rigorosamente artigianale. Si tratta di un gelato alla nocciola che viene modellato, rigorosamente nel palmo della mano, a forma di semisfera con un cuore di cioccolato fondente fuso e ricoperto da un spolverata di cacao amaro in polvere e zucchero. È stato inventato negli anni ’50 dello scorso secolo quasi certamente ispirandosi all’omonimo cioccolatino della tradizione torinese.

In questi quattro giorni ho assaggiato piatti buonissimi. Quella calabrese è una cucina povera, prevalentemente di origine contadina, e molto legata alle tradizioni religiose. Nonostante gli 800 km di coste, i piatti principali della regione sono a base di carne e non di pesce. Ma il prodotto tipico più conosciuto è sicuramente la ‘Nduja, il tipico salame calabrese morbido piccante, il nome trae origine dal termine latino “inducere”, cioè introdurre, in questo caso peperoncino e spezie.

Il mio viaggio in Calabria non è finito, ma continua in un altra zona, seguitemi nel prossimo post…

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