Le Charme de la Tunisie
Viaggi

Le Charme de la Tunisie (prima parte)

Ho girato mezzo mondo, ma non ero mai stata in Tunisia. Quando mi hanno invitata ad un press tour in questo Paese, non ho avuto nessuna esitazione nell’accettare, nonostante i tragici fatti successi l’anno scorso.

Perché ritengo che in questo momento molto critico, sia giusto portare la nostra solidarietà ai tunisini. Al nostro arrivo all’aeroporto veniano accolti, io e altri mie colleghi, con delle rose bianche. Poi all’Hotel Regency Tunis con dei dolcetti tipici e il thé à la menthe, che sarà il fil rouge del mio viaggio.

Hammamet è la prima città che visito, rappresenta la località più turistica della Tunisia, vuoi per il clima mite (la temperatura media d’inverno è di 12°C, con escursioni da 3°C a 20°C) per i giardini con piantagioni tropicali ricchi di palme, buganvillee e cipressi e per le lunghissime spiagge. Il nome significa bagni, ed è il plurale della parola Hammam che in arabo significa bagno riferito ai bagni termali dove i musulmani effettuano il ghusl (un bagno purificante) per conseguire la tahara o purità rituale. La città, situata a sud-est di Cap Bon, sul golfo omonimo, nel Governatorato di Nabeul ha una capacità di ricezione alberghiera di oltre 50.000 posti letto. Ricostruita nel XV sec. vicino alle rovine romane di Siagu e Pupput, Hammamet è vissuta fuori dal tempo fino agli anni Venti del XX secolo, quando il miliardario rumeno Georges Sébastian vi si stabilì costruendo una sontuosa villa, Dar Sébastian, celebrata all’epoca come una delle migliori opere dell’architettura contemporanea. Bellissima la piscina interna costeggiata da un lungo porticato, che mi trasmette un senso di relax e di beatitudine. Grazie a questa villa e al suo mecenate, nel giro di pochi anni Hammamet si trasformò in un punto di ritrovo di scrittori, pittori e artisti, tra cui André Gide, Georges Bernanos, Paul Klee, Frank Lloyd Wright. Durante la seconda guerra mondiale la villa fu requisita e adibita a quartier generale del maresciallo Rommel, mentre nel 1959 fu acquistata dallo Stato ed oggi è Centro Culturale Internazionale. Da non perdere, inoltre, il bellissimo giardino che arriva fino al mare e il teatro all’aperto, costruito nel 1964, dove si svolgono molti spettacoli teatrali.

Ad Hammamet rimango affascinata dalle porte colorate e dai pesci dipinti fuori dall’uscio delle case, mi spiegano che disegnare dei pesci con il proprio nome scaccia il malocchio. La città vecchia, la Medina, con le sue stradine tortuose, le case bianche e le corti interne, si sviluppa attorno alla Kasbah, o il forte. Si tratta di una fortezza risalente al periodo moro che venne realizzata per proteggere la città dalle invasioni via mare. Tre porte si aprono nei bastioni. L’entrata principale è costituita da un passaggio a zig-zag, lungo i fianchi del quale sono poste piccole nicchie coperte da soffitti a volta. Un’altra porta si affaccia, dalla parte opposta del porto, sul cimitero marino costruito nel 1881 per accogliere i soldati francesi caduti nel corso della prima occupazione: le tombe bianche sembrano quasi ricongiungersi col mare. Merita una visita anche il Museo del Costume, dove sono in mostra una serie di bellissimi vestiti e abiti da matrimonio utilizzati nella regione. Al tramonto sedetevi al caffè moresco Sidi Bou Hadid, come ho fatto io, per sorseggiare una tazza di thé à la menthe godendo l’imprendibile vista sul mare.

Durante il nostro tour ci rechiamo a Nabeul, dopo Cartagine, la più antica città dell’Africa settentrionale. Nella zona sud della città si trovano infatti le rovine dell’antica città di Neapolis, fondata circa 2.400 anni fa, della quale fa riferimento anche lo storico Tucidide nei propri scritti, con riferimento ad alcuni episodi della Guerra del Peloponneso del 413 a.c. La città passò poi sotto il dominio cartaginese prima e, a partire dal 148 a.c., romano, conquistata dal generale Calpurnio Pisone.Nel corso della dominazione romana il centro passò in secondo piano, finendo, dopo il 476 d.c. prima sotto il dominio vandalo e poi sotto quello dei bizantini, che la distrussero con il sopraggiungere degli arabi. Sono ancora sconosciute e ragioni della decadenza di Neapolis: nel XII sec. viene descritta da el-Idrisi come un complesso di rovine abbandonate, spodestata da un insediamento musulmano posto più a nord.

Nabeul non presenta monumenti di particolare interesse artistico, se si escludono gli scavi di Neapolis e i reperti del Museo archeologico regionale. La principale attività di Nabeul è la produzione della ceramica che è presente qui sin dall’epoca romana, forse addirittura dall’età punica. Vasi, stoviglie, pentole, soprammobili e piastrelle sono prodotti in oltre cento laboratori artigianali, che è possibile visitare rivolgendosi a qualsiasi negoziante di ceramiche. Di stampo tradizionale, è una ceramica verniciata al piombo («motli»), in cui la vernice, verde o gialla, è sempre trasparente e lascia intravvedere i decori tracciati con ossido di manganese. Alcune botteghe lavorano anche una ceramica porosa, detta «chawat». Nel 1910 il maestro artigiano Jacob Chemla riuscì a fissare il blu cobalto, che d’allora divenne un colore costante in quasi tutte le ceramiche tunisine. Si segnalano anche la lavorazione dello sparto (fibra per cordami), la distillazione dei profumi (fiori d’arancio, di gelsomino e di rose), il ricamo (tele bianche vengono ricamate con fili di seta azzurri e d’argento). E una particolare tecnica per il ferro battuto: i diversi pezzi non vengono né saldati né avvitati, ma uniti fra loro mediante fil di ferro.

Segue…

 

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